Il documento presente in questa pagina è
la relazione integrale e originale (escluse le appendici finali e
le note a pie' di pagina) effettuata dalla Sogin per la
localizzazione del sito unico nazionale per la raccolta delle scorie
nucleari.
(elaborato PDN RT 002 - Rev. 0
- Pag. totali 114)

per le appendici finali della relazione integrale
e originale effettuata dalla Sogin
per conoscere il parere su tale studio
espresso dal Presidente del C.N.R. - prof. Carlo Rubbia - in Commissione
Ambiente alla Camera dei Deputati in data 25.11.03
STUDIO PER LA
LOCALIZZAZIONE DI UN SITO PER IL DEPOSITO NAZIONALE CENTRALIZZATO DEI
RIFIUTI RADIOATTIVI
SOMMARIO
1
-
Premessa
2 -
Indirizzi
istituzionali
3 -
Studi e ricerche pregresse in ambito nazionale
4 -
Criteri generali di sicurezza
5 -
Recuperabilità
dei rifiuti radioattivi
6 -
Inventario dei
rifiuti radioattivi di II categoria
7 -
Inventario dei
rifiuti radioattivi di III categoria
8 -
Metodologia di selezione di un sito profondo in
formazione salina
9 -
Applicazione
della procedura della selezione del sito
10 -
Caratteristiche
sismiche e gro-idrologiche del sito di Scanzano Jonico
11 -
Caratteristiche
ambientali e territoriali dell'area di Scanzano Jonico
12 -
Piano
preliminare di validazione della scelta del sito
13 -
Conclusioni
9 APPLICAZIONE DELLA PROCEDURA DI SELEZIONE DEL
SITO
9.1 FASE 1 - Inventario delle formazioni saline
9.1.1 Catalogo delle formazioni geologiche saline
Nella Fase 1 della procedura per l’individuazione dei depositi profondi
in salgemma si è fatto ricorso all’inventario dei depositi salini
presenti sul territorio nazionale, a suo tempo predisposto dal Servizio
Geologico Nazionale sulla base del contratto CNEN Euratom 022-76-9 WASI,
concluso nel Dicembre 1977.
Come indicato nella relazione finale di quello studio, le formazioni
saline italiane appartengono al piano superiore del Miocene e non si
conoscono giacimenti saliferi in altri livelli geologici.
In Italia, il piano superiore del Miocene è conosciuto anche con il nome
di Messiniano, perché i primi elementi di conoscenza del piano geologico
studiati e descritti si riferiscono ad affioramenti situati nei pressi
di Messina. Ulteriori studi ed indagini, hanno messo in evidenza, però
una netta differenziazione tra i lembi del messinese, composti in
prevalenza da terreni clastici (psefiti e psammiti spesso in facies
continentale), e quelli caratteristici delle serie gessoso-solfifere e
salifere che si trovano nella Sicilia centro-meridionale ed in lembi più
ridotti in altre regioni italiane con o senza mineralizzazioni.
La successione dei terreni altomiocenici, che comprendono le formazioni
saline, si può cosí riassumere (dal basso verso l'alto):
- a) Terreni di letto composti da
argille sabbiose o sabbie argillose con intercalazioni sabbiose,
appartenenti al Miocene medio o Tortoniano.
In qualche settore della Sicilia i terreni di letto sono rappresentati
da limi e silts naftogenici, mentre nella penisola prevalgono le
sabbie ed arenarie o molasse con qualche lente o tracce di lignite
(Volterra).
Il passaggio dal Miocene medio a quello superiore avviene in
concordanza stratigrafica e tettonica.
I terreni di transizione tra i due piani sono più evidenti in Sicilia
dove compare pressoché ovunque il livello tripolaceo dello spessore
variabile da 30 m a 70 m e composto di fitte intercalazioni di sottili
strati di farine fossili marno-argillose, con veli di argilla
bituminosa, marna variamente argillosa e calcarea.
In Calabria e Basilicata, il termine di passaggio si può identificare
nella riduzione delle componenti psefitiche con la comparsa di varve
argillo-limose variamente bituminose poco addensate.
In Toscana manca la parte bituminosa, mentre persistono le tracce di
lignite diffuse nella matrice argillosa o disposte in veli esili e
raramente campionabili con le perforazioni meccaniche.
- b) Terreni di base del Miocene
superiore o Sarmaziano
In Sicilia ed in Calabria si hanno i calcari spugnosi o vacuolari,
(sede della mineralizzazione solfifera) sostituiti lateralmente, dalle
marne o argille marnose oppure dalle brecce calcaree. Le marne si
riscontrano verso le depressioni paleogeografiche, mentre le brecce
calcaree si trovano in corrispondenza delle dorsali sub-emerse
all’inizio del Miocene superiore. Nei rimanenti comprensori la base
del Miocene superiore e' rappresentata da argille con tracce di marne
scure,
granuli di pirite, indizi di torba o lignite e scarsa microfauna nana.
- c) Gessi, argille, anidride e sale.
La successione di questi terreni e la loro posizione si differenzia
nei diversi bacini. Tuttavia si ha in genere la seguente successione
verticale, dal basso verso l'alto:
c1) argille variamente bituminose, con cristalli di gesso e con
straterelli di gesso o anidrite
intercalati;
c2) alternanze di straterelli di argille e di sali di diversa
composizione chimica e mineralogica;
c3) prevalenza di sali composti con magnesio e potassio con alternanze
argillose;
c4) ammassi salini con percentuali di potassio più significative nella
parte inferiore, mentre nella parte alta si riscontrano più frequenti
bancate imponenti di salgemma quasi puro.
I corpi salini hanno subito intense deformazioni tettoniche in
funzione della elevata plasticità del sale che si comporta
meccanicamente come una argilla compatta. La posizione, e le
percentuali qualitative e quantitative dei sali potassici varia
secondo fasce aventi andamento ENE-WSW e sono legate alla
paleogeografia salina ed alle diverse componenti delle spinte
tettoniche. Lo spessore del corpo salino varia da zero fino ad un
migliaio di metri;
c5) subito al tetto del sale si hanno argille scure con anidrite e
scarsi gessi, man mano che si sale, verso la chiusura del ciclo
sedimentario, aumentano le componenti gessose mentre si riducono le
argille.
- d) Tetto dal Miocene superiore o serie
gessosa-solfo-salifera.
Al tetto si rinviene un diffuso orizzonte sabbioso anche di scarsa
potenza, che segna la trasgressione
tra il Miocene ed il Pliocene. Quest’ultimo terreno passa poi a marne
che sono bianche,
e talora calcaree (trubi in Sicilia e Calabria), oppure grigiastre e
leggermente marnose
("Tabianano") in Basilicata, Campania e Toscana.
9.1.2 Elenco dei bacini salini
Lo studio del Servizio Geologico Nazionale, in precedenza citato, ha
identificato n. 45 giacimenti salini distribuiti in cinque Regioni
(Sicilia, Calabria, Basilicata, Lazio e Toscana) le cui caratteristiche,
di interesse per il presente studio, sono riportate nella tabella 9.1.
I singoli bacini salini sono stati individuati e numerati
progressivamente a partire dalla Sicilia orientale, verso occidente, e
risalendo poi la penisola italiana da sud verso nord.
Sono stati così esaminati i seguenti N. 27 bacini in Sicilia, N. 4
bacini in Calabria, N. 1 bacino in Basilicata, N. 1 bacino in Campania
ed 1 bacino in Toscana.
9.2 FASE 2 - Primo livello d’esclusione:
caratteristiche morfologiche dei giacimenti
I 45 depositi salini sono stati sottoposti ad un primo esame dei
requisiti riguardante l’idoneità dei singoli giacimenti, rispetto alle
caratteristiche morfologiche del giacimento, con particolare
riferimento alle caratteristiche della copertura e allo spessore e
dimensioni della formazione salina.
Questo criterio ha portato all’esclusione dei siti evidenziati in
tabella 9.2.
A risultati identici era pervenuto lo studio della Commissione Europea
“European Catalogue of the Geological Formations Having Favourable
Characteristics for the Disposal of Solidified High Level and/or Long
Lived Radioactive Waste”, nel Capitolo 7 interamente dedicato
all’Italia.
9.3 Fase 2 - Secondo livello d’esclusione:
requisiti di isolamento del giacimento
L’applicazione del secondo livello d’esclusione ai 13 giacimenti
selezionati porta
all’identificazione di cinque giacimenti con caratteristiche di
idoneità rispetto alle caratteristiche morfologiche del giacimento e
allo spessore e impermeabilità della formazione di tetto.
9.4 FASE 2 - Terzo livello d’esclusione:
sismicità
L’applicazione del terzo livello richiede un esame preliminare
dell’assetto geologico-strutturale e cinematico d’insieme dell’Italia
meridionale ove sono localizzati i 5 siti risultanti dall’applicazione
del secondo livello visto precedentemente.
Tale esame si basa sullo stato dell’arte delle conoscenze in tema di
tettonica delle placche, e prende in considerazione un’area molto
vasta, comprendente il Mediterraneo e le terre ad esso circostanti.
Tale estensione areale è imposta dalla complessità delle vicende
geologiche che hanno caratterizzato i settori crostali compresi tra le
litosfere africano-araba a Sud e euroasiatica a Nord. Solo in tal modo
è possibile fissare condizioni al contorno sufficientemente
condivise.
9.4.1 Cinematica e sismicità dell’area
circum-mediterranea
Il Bacino del Mediterraneo e le aree emerse ad esso circostanti sono
il risultato di una complessa vicenda geologica che può essere fatta
risalire almeno alla fine del Paleozoico.
La presenza di strutture formatesi a seguito di più orogenesi, da
quella ercinica all’orogenesi alpina ancora in atto (unitamente a
quella cimmeride, interposta tra le due, per le porzioni orientali
dell’area circum-mediterranea) porta alla considerazione che l’area è
oggetto delle forze che da alcune centinaia di milioni di anni stanno
portando all’eliminazione della litosfera a crosta oceanica,
interposta fra quelle a crosta continentale a sud (Africana e Araba) e
quella a nord (Eurasiatica).
Tale litosfera, ampia originariamente almeno quanto l’attuale
Atlantico, viene subdotta al di sotto di quelle continentali più
spesse e meno dense ed assimilata all’interno del mantello
astenosferico. L’eliminazione di crosta oceanica, però, come previsto
dalla “Plate Tectonics”, ha portato alla nascita di bacini di
retroarco che generano nuovi bacini oceanici, progressivamente più
ristretti dei bacini andati in subduzione; ciò fa si che, malgrado il
lungo tempo trascorso, il bacino oceanico originario non sia ancora
completamente scomparso e, quindi, le masse continentali al bordo non
si siano saldate.
La complessità della vicenda può essere schematizzata dalla situazione
paleogeografica nei due momenti dell’evoluzione geodinamica dell’area
circum-mediterranea rappresentati in figura 9.1.
La situazione a -35 Ma (milioni di anni) indica la forte riduzione
dell’estensione dei bacini oceanici tetidei rispetto a quelli
esistenti a -84 Ma. Uno di questi ultimi è completamente suturato in
corrispondenza della catena alpino-dinaride.
Se si raffronta la situazione a -35 Ma con quella odierna si può
notare la suturazione, testimoniata dai complessi ofiolitici
traccianti le zone di collisione, dei bacini i cui sedimenti corrugati
si rinvengono nelle catene degli Zagros, del Caucaso, delle Pontidi,
Magrebide e dell’Atlante nordafricano.
Ma proprio da tale raffronto emerge, come detto, che l’eliminazione
dei bacini oceanici (tetidei in questo caso) non è stata completa, sia
perché dalle collisioni dell’orogenesi alpina si è preservato il
bacino ionico-mediterraneo orientale (costituito da un residuo di
crosta oceanica della Tetide giurassica ormai fredda e densa), sia
perché si sono formati bacini di retroarco, quali il bacino balearico,
(con crosta oceanica non ancora fredda) e quelli del Tirreno e dello
Ionio, nei quali la crosta oceanica è addirittura in formazione e
quindi calda e meno densa (per il Tirreno, nel settore SE).
L’area circum-mediterranea ha, pertanto, corpi di varia natura
(continentali ed oceanici), di differente età e temperatura e con
reologia (e quindi con comportamento meccanico) anche completamente
diverso tra loro; se si considerano anche le differenze tra i
cinematismi (da corpi che si muovono con velocità di 1-2 cm/anno come
Africa e Arabia a quelli che sono stabili come la placca eurasiatica)
e la presenza di alti del mantello, che costituiscono forti ostacoli
al movimento delle placche (duomi balearico, tirrenico, pannonico,
egeo e del Mar Nero), ne deriva una elevata complessità della
distribuzione degli sforzi in atto che non risulterebbe facilmente
intelligibile senza la definizione di un quadro cinematico-deformativo
d’insieme come quello indicato in figura 9.2.
Tale quadro è caratterizzato dai seguenti elementi cinematici e
reologici:
- il cratone europeo (Eurasia) stabile;
- la placca africana che si muove circa verso nord ad una velocità
intorno al cm/anno; (solidalmente ad essa si muove nella stessa
direzione e velocità la Sicilia, il bacino ionico e quello adriatico,
pianura padana compresa);
- la placca araba che dal Miocene superiore si è separata dall’Africa
e si muove verso N
con velocità doppia di quella africana (dalla quale è separata dal Mar
Rosso e dalla trascorrente sinistra del Mar Morto);
- la microplacca turca che si muove verso W lungo gli svincoli della
North Anatolian Fault,
a nord, e della East Anatolian Fault, a sud-est;
- l’astenosfera dei bacini oceanici di retroarco Balearico (inattivo
dalla fine del Miocene),
tirrenico (attivo nella sua porzione SE) ed Egeo (bacino di retroarco
attivo) che si oppongono in maggior o minor misura ai movimenti verso
N rispettivamente del bordo settentrionale dell’Africa e della
Sicilia;
- l’astenosfera del bacino semi-oceanico del M. Nero che si oppone a
quello della
microplacca turca consentendone lo svincolo verso W;
- il duomo astenosferico Pannonico che ha guidato il drappeggio ad
arco dei Carpazi;
- il duomo astenosferico del Tirreno che si espande verso il bacino
ionico il cui “slab”, per
effetto sia del movimento verso N della placca africana alla quale è
solidale, sia del suo
peso e soprattutto di detta espansione, va in subduzione al di sotto
dell’Appennino calabro e si immerge nel mantello astenosferico
sud-tirrenico.
Nello schema di figura 9.2 è riportato il limite delle placche
principali, la posizione e l’età dei corpi a diversa reologia ad esse
interposti, unitamente alle zone di deformazione “recenti”
pliopleistoceniche che sottolineano le zone di contatto attivo tra i
vari corpi in deformazione.
Coerentemente al quadro cinematico/reologico la distribuzione dei
terremoti nella carta di figura 9.3 ricalca le zone in deformazione
con l’esclusione di quelle ad alto flusso termico dove la temperatura
delle rocce è tale per cui non si ha accumulo di stress e quindi non
si ha rilascio di terremoti (Egeo, Tirreno, Bacino Pannonico, Mar
Nero...).
9.4.2 Cinematica e sismicità dell’area italiana
In figura 9.4 è illustrata la situazione italiana con la messa in
evidenza del ruolo cinematico dei corpi astenosferici del Tirreno che
nella risalita, cui si affianca una forte espansione termodinamica,
premono sulle aree circostanti.
Le frecce indicano le direzioni prevalenti di espansione legate
evidentemente a zone di minore resistenza come il bacino a crosta
oceanica fredda e densa (che, quindi va facilmente in subduzione)
dello Ionio. Nella figura in esame si vedono bene anche le zone in cui
la Moho si deforma approfondendosi sotto la spinta (e il peso) del
duomo astenosferico tirrenico, con particolare riguardo per la parte
sud-orientale.
Ormai praticamente esaurita l’espansione per effetto termico della
porzione più vecchia (Mioc. Sup) del duomo astenosferico indicata con
(1), che ha anche avuto il tempo (circa 5 milioni di anni) per
scaldare le rocce continentali del bordo tosco-laziale, resta
fortemente attiva l’espansione del settore centro-meridionale dello
stesso, facilitata dalla “cedibilità” e “ricettività” della litosfera
ionica.
Considerata l’impossibilità di spostare il blocco sardo-corso, per la
presenza a tergo del duomo astenosferico balearico, le deformazioni
riguardano prevalentemente l’espansione del settore (2) verso SE.
Qui il duomo sud-tirrenico è anomalmente prossimo alla superficie e
arriva a sormontare parzialmente la moho del settore settentrionale
della Sicilia e di quello SW dell’Italia centromeridionale.
In corrispondenza dell’arco calabro il duomo sovrasta completamente
tale superficie e aiuta lo “slab” ionico (anche sotto il suo peso e
dietro la spinta della placca africana di cui è parte) ad immergersi
completamente nell’astenosfera sud-tirrenica fino a profondità di
400-500 km.
In figura 9.5 è riportato lo stesso schema cinematico-strutturale
unitamente ai terremoti con magnitudo > 5 che hanno interessato
l’Italia centro-meridionale.
Dal raffronto si può vedere l’ottima corrispondenza tra le
deformazioni crostali indotte
dall’espansione del duomo tirrenico e i rilasci sismici presenti a
catalogo.
Si notino le diverse profondità dei terremoti che aumentano
considerevolmente dall’arco calabro andando verso NW nel centro del
Tirreno dove si incontrano nell’ordine (dal più recente al più
vecchio) i vulcani sottomarini Marsili (v. figura 9.6), Vavilov e
Magnaghi che sottolineano la vicinanza al fondo marino dei fusi
magmatici connessi con la risalita del duomo astenosferico.
In figura 9.7 è riportato schematicamente l’assetto
geologico-strutturale dell’Italia meridionale ripreso dagli studi
condotti dell’Agip per le ricerche petrolifere e da quelli sulla
crosta profonda condotti da CNR, Agip ed ENEL (da questa conferiti a
SOGIN).
Nella sezione di figura 9.7, orientata circa W-E, si notano i rapporti
tra la catena appenninica a falde che si accavalla, per rispondere
essenzialmente all’espansione del duomo tirrenico sopra indicata,
sulla piattaforma carbonatica apula (affiorante sulle Murge).
Il fronte più avanzato delle falde, che reca sul dorso i depositi
miocenici di salgemma rinvenuti nel sottosuolo di Scanzano Jonico, è
da almeno 600.000 anni fermo per il concentrarsi dei movimenti di
impilamento della catena in posizione arretrata (estrusione di
“thrust” in fuori sequenza evidenziati dalle superfici di scollamento
che tagliano la superficie riportate sulla sinistra della sezione) e
per il concentrarsi delle spinte connesse con l’espansione del duomo
tirrenico in direzione SE (verso il centro del bacino ionico).
Nelle figure 9.8 e 9.9 sono riportate le valutazioni sulla
pericolosità sismica dell’Italia centromeridionale del CNR-GNDT; in
tali figure è importante notare l’elevata pericolosità dell’Irpinia
(dove la catena a falde è raggiunta dalle dislocazioni connesse con l’oceanizzazione
tirrenica e quelle transtensive sinistre che svincolano i movimenti
verso lo Jonio) e dell’arco calabro direttamente coinvolto
dall’espansione del lobo SE del duomo tirrenico.
Una pericolosità non trascurabile è presente in Sicilia ed in
particolare in corrispondenza dei sui bordi settentrionale ed
orientale, dove si concentrano rispettivamente gli “stress” indotti
dal contrasto tra la spinta della Placca africana e il duomo tirrenico
e quelli per la lacerazione lungo la scarpata di Malta dello “slab”
jonico nel suo inarcamento al di sotto delle calabridi; lacerazione
alla quale va probabilmente attribuita la causa del più forte
terremoto storicamente noto in Italia, quello del 1683 di magnitudo
7,5.
Lo scuotimento atteso, infine, nel sito di Scanzano Jonico presenta
valori molto modesti: come si ricava dalla figura 9.9 il sito ricade
tra le aree italiane a minore pericolosità sismica avendo
un’accelerazione di picco al suolo attesa compresa tra 0,08 e 012 g.
Per i siti nell’area di Enna, e più in generale per quelli della
Sicilia, tenuto conto dello stato di “stress” in atto, non si può
escludere nel lungo termine il rilascio di terremoti “random” (v.
Belice) e sarebbe pertanto difficile da dimostrare la loro idoneità ad
ospitare un deposito di tipo geologico per i rifiuti radioattivi ad
alta attività e/o a a lunga vita.
Per quanto riguarda il sito di Neto (KR) questo è localizzato nelle
vicinanze dei centri sismici più importanti dell’Italia meridionale
dovuti, come detto, al particolare stato di “stress” cui è soggetta
l’area, e pertanto viene escluso.
9.5 FASE 2 - Quarto livello di esclusione:
stabilità geologica
Dall’esame degli elementi cinematici caratterizzanti le aree
comprendenti i siti selezionati, ovvero
7. Assoro-Agira (En)
12. Salinella (En)
15. Resuttano (En)
43 Metaponto (Scanzano – Mt)
si rileva che i siti siciliani sono sottoposti ad un insieme di
sollecitazioni per evoluzione geomorfologia e tettonica alquanto
complesse e gravose, in grado di comprometterne, nel tempo, la
stabilità geologica.
Oltre, infatti, alla tendenza ad un aumento dello stato di
micro-fratturazione delle rocce, nei siti siciliani si rinvengono
condizioni di evoluzione geomorfologia che favoriscono l’azione
erosiva degli agenti esogeni (fenomeni atmosferici, dilavamento delle
acque superficiali, etc.). Nella scala dei tempi previsti per un
deposito di rifiuti di III categoria, lo spessore degli strati a
protezione dei sottostanti depositi salini tende di conseguenza a
ridursi, compromettendo la capacità complessiva del sistema di
isolamento geologico. In Appendice 4 sono riportate la posizione e la
stratigrafia dei siti siciliani di Assoro-Agira, Salinella e Resuttano.
Il complesso delle formazioni di copertura del giacimento salino di
Scanzano Jonico è ben lontano dall’essere sottoposto all’azione
demolitrice suddetta. Questa condizione potrà variare nel tempo in
funzione dell’evoluzione geodinamica che interesserà l’area.
Una condizione di subsidenza dell’area o di innalzamento del livello
marino accrescerà la distanza dalla biosfera del giacimento salino, a
causa dell’accumulo di nuovi sedimenti al vertice degli strati
protettivi del giacimento stesso.
Una ipotesi cautelativa di stasi geodinamica manterrà la situazione
attuale di isolamento.
9.6 Individuazione finale del sito
Queste ultime considerazioni, unitamente a quelle espresse nel
precedente paragrafo 9.4 in merito alla sismicità delle aree
siciliane, hanno portato, pertanto, al convincimento che il sito di
Metaponto-Scanzano Jonico e in particolare il deposito di salgemma
rinvenuto nel sottosuolo del comune rappresenta, con riferimento alle
assunzioni di cui in premessa, e allo stato attuale delle conoscenze,
il sito più idoneo ad ospitare un Deposito Nazionale centralizzato
unico per lo smaltimento:
– dei rifiuti radioattivi di medio/bassa attività;
– e, in una prospettiva di più lungo termine, a seguito dei positivi
risultati della sperimentazione in un Laboratorio da realizzare
all’interno dello stesso giacimento salino,
anche dei rifiuti ad alta attività e lunga vita media.
Le attività della Terza Fase della procedura di selezione del sito
potranno confermare in via definitiva la scelta effettuata.
9.7 Bibliografia
1. APAT: Guida Tecnica n. 26
“Gestione dei Rifiuti Radioattivi”
2. SOGIN: Inventario dei materiali provenienti dalle centrali nucleari
della SOGIN e destinati al
deposito nazionale per i rifiuti radioattivi (Aprile 2003)
3. Task Force ENEA per il Sito Nazionale: “Inventario Nazionale dei
Rifiuti Radioattivi – 2000 -
3° edizione”
4. ENEA/NUCLECO: Caratterizzazione radiologica mediante spettrometria
gamma in sito degli
impianti e laboratori ENEA (Dicembre 2000)
5. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-25 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of Saluggia data analysis – NAGRA, August 2001
6. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-29 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of Nucleco data analysis, Vol. 1 – NAGRA, October 2001
7. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-29 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of Nucleco data analysis, Vol. 2 – NAGRA, October 2001
8. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-30 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of Trisaia data analysis – NAGRA, November 2001
9. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-33 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of Casaccia data analysis – NAGRA, November 2001
10. D.F. McGinnes and F. Bruno: Project Report 01-38 - ENEA Inventory
Project 2001- Results
of CISAM, FIAT, FN and Ispra data analyses – NAGRA, December 2001
11. APAT: Inventario Nazionale dei Rifiuti Radioattivi (Gennaio 2003)
12. Rapporto del Gruppo di Lavoro sulle Condizioni per la Gestione in
Sicurezza dei Rifiuti Radioattivi- Accordo Stato-Regioni del 4
novembre 1999- Conferenza Stato-Regioni, Gennaio 2001
13. IAEA Technical Report Series N. 389
14. U.S. NRC: NUREG CR-4101 “Assay of long lived radionuclides in low
level wastes from
power reactors”, April 1985
15. EPRI NP 4037 Final Report “Radionuclide Correlations in low level
radwaste”, June 1985
16. SF-STAT, “A computer code for deriving scaling factors for
Difficult-to-Measure (DTM)
radionuclides in low level waste streams”.
9.8 Tabelle e figure
Tabella 9.1 – Servizio Geologico Nazionale.
DEPOSITI SALINI – Caratteristiche generali (CNEN–EURATOM 022-76-9 WASI).
1/3
2/3
3/3
Tabella 9.2 - Esclusione dei depositi salini
italiani in base al primo livello d’esclusione.

Tabella 9.3 - Giacimenti risultanti
dall’applicazione dei primi due livelli di esclusione.

Figura 9.1 - Paleogeografia dell’area mediterranea (in alto, 84
milioni di anni fa, e, in basso, 35 milioni di anni fa) da cui si vede
la progressiva riduzione dei bacini oceanici interposti alle aree
continentali, sia pure in un quadro strutturalmente alquanto
complesso.

Figura 9.2 – Quadro cinematico-deformativo
dell’area mediterranea.

Figura 9.3 – Cinematismi e sismicità dell’area mediterranea.

Figura 9.4 – Rapporto fra le deformazioni della moho (le curve sono
delle isopache della crosta che corrispondono alla profondità della
discontinuità di Mohorovicic o moho).

Figura 9.5 – Deformazioni crostali sotto la spinta dei duomi tirrenici
e sismicità dell’Italia centro-meridionale.

Figura 9.6 – Espansione del lobo SE del duomo tirrenico verso il
bacino jonico.

Figura 9.7 - Il vulcano sottomarino del Marsili visto da N.

Figura 9.8 – Rapporti catena a falde appenninica e avampaese apulo.

Figura 9.9 - Pericolosità sismica (Max Intensità attesa) da CNR-GNDT.

Figura 9.10 - Pericolosità sismica (Max accelerazioni attese) da
CNR-GNDT.

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