Gli accordi, le norme e
le raccomandazioni degli organismi internazionali che non sono state
rispettate
1. Dal punto di vista
procedurale
In primo luogo viene disatteso il principio n.6 (Quadro di riferimento
nazionale normativo e legislativo) dei “Principi fondamentali del
maneggiamento dei rifiuti radioattivi ” stabiliti dalla IAEA (Safety
Series n.111-F) e ribaditi nella Convenzione IAEA del 1997, senza il
quale non vi è certezza del rispetto di tutti gli altri principi.
Inoltre la UE nella proposta di direttiva 2003/0021 CNS, all’Art.3 (Indipendenza
dell'autorità di sicurezza), stabilisce: “Gli Stati membri
istituiscono un'autorità di sicurezza. A livello di organizzazione,
struttura giuridica e decisioni, essa deve essere indipendente da
qualsiasi altro organismo o organizzazione, pubblico o privato,
incaricato della promozione o dell'uso dell'energia nucleare.” Al
contrario, i provvedimenti legislativi adottati in Italia dal 1994 ad
oggi comportano:
- La scomparsa di una autorità di
sicurezza indipendente: l’ENEA DISP è stata sciolta e le sue
funzioni sono state inglobate nell’ANPA (poi APAT) che dipende dal
Ministero dell’Ambiente (organismo politico)
- La sovrapposizione di
responsabilità e competenze tra diversi organismi politici:
Ministero dell’Ambiente; Ministero dell’Industria; Presidenza del
Consiglio al punto che esistono tre diverse Commissioni ed un Servizio
con funzioni coincidenti:
- Commissione Tecnica per la
sicurezza nucleare e la protezione sanitaria (ex D.lgs 230/95);
- Commissione tecnico-scientifica (
composta da 7 membri), con compiti di valutazione e alta vigilanza
inerenti agli obiettivi dell’ordinanza del Presidente del
Consiglio n.3267 (non espressamente abrogata);
- Commissione tecnico-scientifica
(19 membri) con compiti di valutazione e di alta vigilanza per gli
aspetti tecnico-scientifici inerenti agli obiettivi della legge n.368/03;
4) Servizio sito e deposito di smaltimen to nazionale APAT. •
- L’accentramento di molte funzioni
tecniche, scientifiche e procedurali in una sola entità (Il
Commissario straordinario) con potere di deroga rispetto al quadro
normativo vigente e con capacità decisionale superiore agli altri
organismi coinvolti nella materia
- L’affidamento ad una società (Sogin)
di compiti di attuazione, informazione e realizzazione del
deposito nazionale essendo la Sogin intestataria di tutte le
licenze ed autorizzazioni connesse alla produzione e gestione dei
rifiuti radioattivi in Italia
- Il conflitto di attribuzioni tra
Sogin (dipendente dal Ministero dell’Industria), Commissario
straordinario (dipendente dal Presidente del Consiglio) e il
Ministero dell’Ambiente, essendo il generale Carlo Jean Presidente
di Sogin e Commissario Straordinario; ed essendo Paolo Togni vice
Presidente di Sogin, vice Commissario Straordinario e Capo di
gabinetto del Ministro dell’Ambiente
- L’attribuzione delle scelte
definitive in materia di individuazione e validazione del sito ad
un organismo politico come il Consiglio dei ministri. In secondo
luogo è ignorato il principio della trasparenza e della messa a
disposizione del pubblico delle informazioni tecniche,
scientifiche, dei criteri ingegneristici e di sicurezza
adottati, nonché dei risultati delle indagini effettuate in
relazione a tutta la materia della gestione dei rifiuti nucleari e
del combustibile irraggiato. A tale principio è informata non solo
la Convenzione IAEA del 1997 (sottoscritta dall’Italia, ma non
ancora ratificata) ma anche le molteplici direttive e
raccomandazioni della UE e della Convenzione di Aarhus del 1998
- La Direttiva UE del 3 marzo 1997
(n.97/11/EC che aggiorna la precedente direttiva 85/337/EEC)
prescrive:
- che ogni stato membro fornisca
tutte le informazioni riguardanti progetti pubblici o privati
(espressamente compresi quelli relativi al maneggio e
conservazione dei rifiuti nucleari) siano rese di pubblico
dominio al fine di garantire alle popolazioni interessate la
possibilità di esprimere le loro opinioni prima che il
progetto sia approvato (Art. 6)
- che una volta approvato o
rifiutato il progetto, le autorità competenti devono informare
il pubblico e devono fornire informazioni riguardo al
contenuto della decisione e alle ragioni e considerazioni che
l’hanno determinata (Art.9)
- Il Rapporto del Comitato per
l’Ambiente del Parlamento Europeo sulla Comunicazione della
Commissione in materia di leggi ambientali comunitarie(COM
96/500) adottato il 14.05.1997 afferma tra l’altro: “La
democrazia è essenziale per una corretta politica ambientale
perché solo attraverso il dibattito pubblico si può ottenere un
vasto consenso intorno agli obiettivi sanciti dalle leggi. Il
ruolo della pubblica opinione diviene un elemento aggiuntivo
della politica ambientale se ciò che si ricerca è il consenso
della popolazione. Senza di questo non può esserci una adeguata
protezione ambientale.”
- La Convenzione di Aarhus del 25
Giugno 1998 in materia di decisioni ambientali e ricorso alla
giustizia che stabilisce tra l’altro:
- Nell’ambito della
legislazione nazionale di ciascun paese, devono essere
emanati provvedimenti volti a rendere disponibili tutte le
informazioni su richiesta del pubblico (singole persone o
associazioni) e che tale messa a disposizione deve
essererealizzata al massimo entro un mese dalla richiesta. (Art.
4)
- Le autorità pubbliche di
qualsiasi livello devono essere messe a conoscenza di tutte
le informazioni disponibili in materia. Devono essere
stabilite procedure obbligatorie per assicurare un adeguato
flusso di informazioni verso le autorità pubbliche. Le
informazioni devono essere disponibili inqualsiasi forma
compresa quella elettronica. (Art.5)
- Devono essere previste e
specificate le modalità di partecipazione del pubblico, con
particolare riferimento alle popolazioni direttamente
coinvolte, al processo decisionale in materia di
legislazione ambientale (Art.6) per tutti i progetti
elencati nell’allegato I della Convenzione che alla
tipologia “Settore energetico” prevede espressamente: Lo
stoccaggio definitivo del combustibile irraggiato; lo
stoccaggio definitivo di rifiuti nucleari;
l’immagazzinamento (per più di dieci anni) di combustibile
irraggiato o rifiuti radioattivi in un sito differente da
quello di produzione.
- La possibilità per le
popolazioni direttamente coinvolte di fare ricorso agli
organi di giustizia (Art.9)
- La Proposta di Direttiva (Euratom)
del Consiglio della UE sulla gestione del combustibile
nucleare esaurito e dei residui radioattivi (2003/0022 CNS)
all’Art.3, punto 6, prevede che: “Gli Stati membri
garantiscono l’effettiva informazione del pubblico e, se
necessario, la sua partecipazione per raggiungere un elevato
livello di trasparenza sulle questioni relative alla
gestione del combustibile nucleare esaurito e dei residui
radioattivi sotto la loro giurisdizione. L'opinione
pubblica è informata sulle azioni da intraprendere e sullo
stato del processo decisionale, in particolare sui criteri
adottati per la scelta dei siti per lo smaltimento
definitivo.”
Infine va tenuto in conto che la stessa UE, preoccupata
della eventuale proliferazione di depositi geologici, ha
stipulato nell’ottobre 2003 un “Accordo di cooperazione
sugli usi pacifici dell'energia nucleare tra la Comunità
europea dell'energia atomica (Euratom) ed il governo della
Repubblica di Uzbekistan” in cui, tra l’altro, si delinea la
possibilità di scambio di “materiali nucleari” (rifiuti
compresi) tra i membri della UE e l’Uzbekistan, che dispone
di depositi geologici e non, già funzionanti. A questo
accordo fa implicito riferimento la proposta di direttiva
2003/0022 CNS allegata.
2 . Dal punto
di vista tecnico scientifico
Salta agli occhi la
sproporzione tra la decisione di realizzare un deposito
geologico per rifiuti di III categoria e il modesto
quantitativo esistente in Italia di questi rifiuti che
assommano a 8629 metri cubi di cui 6957 già condizionati e
1657 da condizionare. L’ingombro finale
di questo materiale (compreso il combustibile irraggiato),
assomma a circa 20.000 metri cubi, cioè pari al volume di un
palazzo di media grandezza. L’impegno di realizzare
un deposito geologico di III categoria richiede una enorme
quantità di indagini e studi prima di arrivare ad una
conclusione: cosa non ancora avvenuta per nessuno dei paesi
che detengono quantitativi di rifiuti nucleari superiori ai
nostri. Lo “stato dell’arte” dal punto di vista tecnico
scientifico in Italia è fermo ad indagini effettuate dall’ENEA
nel 1988 su due siti appartenenti al Demanio Militare,
successivamente riprese nel 1996 nell’ambito delle attività
della Commissione Grandi Rischi istituita presso il
Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del
Consiglio. Tale attività aveva portato a redigere uno studio
di fattibilità che ha permesso di verificare che i due siti
avevano le caratteristiche per essere presi in
considerazione per ulteriori approfondimenti (come
riferisce Pietro Risoluti dell’ ENEA nel convegno
“Sicurezza nucleare e disattivazione impianti in Italia”
realizzato a Saluggia nel 1998).
Sempre in quel convegno lo stesso Risoluti sostiene che:
“ I rifiuti di III Categoria italiani (includendo in essi
anche gli eventuali combustibili nucleari irraggiati non
inviati all'estero per il ritrattamento) sono in
quantitativi modesti, tali da non giustificare la necessità
di un sito di smaltimento profondo nazionale. Per essi
viene previsto un immagazzinamento anche di lungo periodo
(30-50 anni) in strutture ingegneristiche adeguate. Queste
strutture possono essere localizzate nello stesso sito di
deposito definitivo dei rifiuti a bassa attività. Il
deposito definitivo è costituito da un sistema di strutture
ingegneristiche che assicurano un confinamento completo
della radioattività.” Tale considerazione era stata
ripresa dal decreto 7/05/2001 del Ministro dell’Industria
che nell’assegnare gli indirizzi operativi alla Sogin, vi
specificava quello di collaborare col Ministero
dell’Industria “all’individuazione, caratterizzazione e
predisposizione del deposito nazionale sia per lo
smaltimento definitivo dei rifiuti condizionati di II
categoria, che per lo stoccaggio temporaneo a medio termine,
in una struttura ingegneristica, dei rifiuti di III
categoria e del combustibile irraggiato non riprocessato.”
Tradotto in altri termini ciò
vuol dire che “lo stato dell’arte” in Italia era il
seguente:
-
si era esclusa
l’ipotesi di un deposito geologico di III categoria;
-
non era stato effettuato
un rapporto preliminare di sicurezza;
-
si era espletata (e
neanche per intero) solo la prima delle quattro fasi
indicate dalla IAEA per la sitizzazione di un deposito,
cioè la fase relativa alla Concettualizzazione e
pianificazione delle attività di selezione.
Tutto il
“resto” (cioè quanto previsto nelle normative della IAEA e
della UE e quanto la stessa UE è prossima a deliberare)
resta ancora da realizzare!
Ma la legge 368/03
appena approvata, non ne tiene conto perché fissa in
appena 12 mesi il tempo a disposizione degli esperti per
portare a termine ciò che gli altri paesi non hanno
realizzato in venti anni.
la Task Force ENEA:
le attività e i risultati
fonte: A.S.R.
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